BancoPosta e Postepay addio: tutto nell'app Poste Italiane
Un promemoria per tutti coloro che si affidano alle applicazioni BancoPosta e Postepay: a partire dalla prossima settimana, saranno entrambe sostituite da quella di Poste Italiane. Se ancora non lo si è fatto, per farsi trovare pronti è possibile scaricarla subito da Google Play su dispositivi Android e da App Store per iPhone e iPad.
Un’app per tutto: Poste Italiane ingloba BancoPosta e PostepayIl passaggio non è immediato, ma progressivo. Vale a dire che, presumibilmente, per qualche tempo le due applicazioni in questione continueranno a risultare funzionanti, prima dell’abbandono definitivo. Non sarà necessario creare nuove credenziali, l’account rimarrà lo stesso.
Trovi già i tuoi servizi BancoPosta e Postepay nella nuova app unica. Scaricala e scopri com’è facile accedere: ti basta inserire le credenziali di poste.it o, se hai l’app BancoPosta o Postepay, utilizzarle per autorizzare l’accesso.
Lo si legge anche sugli store mobile: A partire dal 30 giugno, l’app BancoPosta sarà progressivamente sostituita dall’app Poste Italiane. e Nei prossimi mesi l’app Postepay sarà progressivamente sostituita dall’app Poste Italiane.
Questo l’elenco delle funzionalità presenti in quella che tra pochi giorni diventerà l’app all-in-one del gruppo.
- Pagamenti e gestione del denaro;
- gestione delle polizze assicurative;
- controllo delle linee mobili e fisse;
- spedizione posta e pacchi;
- gestione libretti di risparmio e buoni fruttiferi;
- gestione delle forniture di energia.
Restando in tema, proprio nelle scorse settimane il Garante della Concorrenza e del Mercato ha sanzionato per 4 milioni di euro Poste Italiane. Il dito è stato puntato contro una pratica ritenuta scorretta e attuata proprio attraverso le app di BancoPosta e Postepay.
In sintesi, gli utenti erano costretti a fornire il consenso per l’accesso ai dati per evitare il blocco delle applicazioni stesse. Solo a posteriori è stata pubblicata sul sito ufficiale un’informativa in merito, con riferimento a un sistema anti-malware e anti-frode.
Xiaomi: depositato un nuovo marchio per i chip proprietari
Xiaomi ha da poco presentato il suo primo chip proprietario denominato Xring O1, che ha fatto il suo debutto sul Xiaomi Tablet 7 Ultra, ma a quanto pare l’azienda intende spingere il più possibile su questo fronte e infatti è notizia delle ultime ore quella che ha già depositato un nuovo marchio per la successiva generazione di processori: Xring O2.
Xiaomi: depositato il marchio Xring O2 per il nuovo processoreAl momento non sono noti i dettagli tecnici, ciò che è chiaro, però, è che Xiaomi intende procedere a ritmi piuttosto serrati, considerando le tempistiche con cui si è apprestata a depositare il nuovo marchio.
Per contesto, ricordiamo che per il chip Xring O1 è costituito da una CPU a ben dieci core organizzati in quattro cluster. Il processo produttivo è di classe 3 nm altrimenti noto come N3P e la fonderia è TSMC. La GPU è una Arm Mali-G925 Immortalis MP16 (16 core). Considerando le sue caratteristiche, si tratta indiscutibilmente di un chip molto potente.
Da notare che Xiaomi ha dichiarato apertamente di aver guardato ad Apple come punto di riferimento per le sue ambizioni hardware e l’integrazione verticale in tutto il suo ecosistema.
Da notare che il nuovo marchio Xring O2 è solo uno dei numerosi marchi depositati dall’azienda nelle ultime settimane. Altri includono Xring T1 e Xring 0. Xiaomi probabilmente cerca di costruire una famiglia di processori personalizzati per l’uso in tutte le categorie di dispositivi, similmente all’uso da parte di Apple dei chip della serie A, della serie M e della serie S che sono presenti su iPhone, Mac e Apple Watch.
IntelBroker: identità svelata e quattro accuse penali
In seguito all’arresto avvenuto in Francia a febbraio, le autorità degli Stati Uniti hanno svelato il nome del famigerato IntelBroker, ex amministratore del noto BreachForums. Il cybercriminale è stato accusato di quattro reati per i quali rischia fino a 55 anni di prigione. Le autorità sono in attesa dell’estradizione.
BreachForums esiste ancora?IntelBroker (alias Kyle Northern) è in realtà Kai West, un cittadino britannico di 25 anni. Il cybercriminale è diventato amministratore/proprietario di BreachForums dopo l’arresto di Baphomet che a sua volta aveva sostituito il fondatore Pompompurin (all’anagrafe Conor Brian Fitzpatrick). Un altro amministratore (ShinyHunters), un moderatore (Hollow) e altre due soggetti (Noct e Depressed), tutti di nazionalità francese, sono stati arrestati il 23 giugno.
Kai West è stato accusato di intrusione non autorizzata nei computer di aziende di telecomunicazioni, Internet service provider e agenzie governative. Ha sottratto numerosi dati sensibili, successivamente messi in vendita su BreachForums, causando danni per oltre 25 milioni di dollari ad oltre 40 vittime.
West ha partecipato (direttamente o indirettamente) agli attacchi contro Europol, General Electric, AMD, HPE e Nokia. Dalla vendita dei dati rubati (tra il 2023 e il 2025) ha ottenuto un profitto illecito di circa 2 milioni di dollari.
Nella deposizione di un agente dell’FBI (PDF) viene spiegato come è stata scoperta la vera identità del cybercriminale. L’agente sotto copertura ha inviato un messaggio privato a IntelBroker su BreachForums per acquistare una API key rubata a 250 dollari in Bitcoin.
Tracciando la transazione è stato individuato l’account associato al wallet Ramp, aperto da Kai West usando la patente di guida come documento di riconoscimento. Lo stesso indirizzo email è stato usato per un account Coinbase associato all’alias Kyle Northern. Tra le email c’erano diversi documenti e una foto della patente di guida. West rischia fino a 55 anni di prigione negli Stati Uniti.
Il famigerato BreachForums è stato chiuso due volte dalle autorità, ma è tornato online con altri domini. La versione pubblica (accessibile a tutti con registrazione) è stata messa offline a fine aprile per risolvere una vulnerabilità nel software MyBB. Non è noto se risorgerà nuovamente con un altro nome. Probabile che la compravendita dei dati sia ancora attiva nel dark web o su Telegram.
iPad Pro: Apple avvia la produzione dei nuovi modelli
I nuovi modelli di iPad Pro, quelli previsti per questo 2025, sono entrati in produzione. Lo si apprende da un recente report diffuso dalla testata coreana DigiTimes, secondo cui sia Samsung Display che LG Display hanno avviato la produzione di massa dei pannelli OLED per Apple all’inizio di giugno, con un lancio previsto per l’autunno, probabilmente a ottobre.
iPad Pro: al via la produzione dei nuovi modelliApple ha introdotto per la prima volta i pannelli OLED su iPad Pro con i modelli lanciati nel 2024, che però non hanno brillato nelle vendite, come invece si auspicava l’azienda. Secondo UBI Research, infatti, le spedizioni di pannelli si sono fermate a 6,3 milioni di unità, decisamente lontane dalle 9 milioni previste inizialmente. Il motivo sarebbe da ricercare nei prezzi troppo elevati.
Per i nuovi modelli di iPad Pro in arrivo quest’anno le previsioni non sono molto differenti, con spedizioni stabili, senza un boom vero e proprio.
L’intenzione del colosso di Cupertino è comunque quella di portare i pannelli OLED su tutta la gamma iPad, al pari di quanto già fatto con gli iPhone. L’iPad mini dovrebbe ricevere il suo primo display OLED nel 2026, mentre l’iPad Air dovrebbe ottenerlo nel 2027. La transizione è lunga, ma si tratta di un passo praticamente obbligato per offrire un’evoluzione concreta e un prodotto di qualità nettamente superiore ai clienti dell’azienda.
Per quanto riguarda i fornitori, il gruppo capitanato da Tim Cook vorrebbe aumentare la concorrenza, ma non tutto sta andando come previsto. Il tentativo di coinvolgere il produttore cinese BOE sembra essere in stallo poiché l’azienda continua ad affrontare problemi tecnici legati agli standard LTPO che vengono richiesti da Apple, gli stessi necessari per ottenere pannelli OLED a basso consumo e di elevata qualità.
Microsoft non riesce a togliere il suono di Windows Vista da W11
Quando si dice Non è un bug, è una feature. Da alcuni giorni, un comportamento anomalo di Windows 11 sta riproducendo sui PC degli utenti il suono di avvio del suo lontano predecessore Windows Vista, datato 2007. Microsoft è a conoscenza del problema e, a quanto pare, per il momento incapace di risolverlo in via definitiva. E tra gli utenti c’è chi chiede di lasciarlo lì dov’è.
W11: c’è ancora il suono di avvio di VistaA nulla sono serviti gli aggiornamenti distribuiti questa settimana. Sul blog ufficiale dedicato agli Insider (link a fondo articolo), era inizialmente indicato il fix sia per il canale Beta sia per quello Dev: Risolto il problema che causava la riproduzione del suono di avvio di Windows Vista anziché del suono di avvio di Windows 11. Il gruppo di Redmond ha però successivamente modificato il post confermando di non essere ancora riuscito a venirne a capo: Purtroppo la correzione per questo problema non funziona correttamente in questa build: verrà risolta con il prossimo rilascio.
Brandon LeBlanc, Senior Program Manager, ha successivamente confermato con un post su X che l’anomalia persiste per gli Insider presenti nel canale Dev.
Nulla di grave o che possa compromettere il funzionamento del sistema operativo. Qualcuno ha pensato che potesse trattarsi di un modo per prendere in giro Apple e la sua interfaccia Liquid Glass presentata nelle scorse settimane, da molti ritenuta simile a quella Aero proprio di Windows Vista. Non è così.
Microsoft ha sempre posto molta attenzione ai suoni di avvio delle sue piattaforme e anche Windows 11 non fa eccezione. In passato ha coinvolto nel processo creativo musicisti del calibro di Robert Fripp dei King Crimson (Windows Vista) e Brian Eno (Windows 95). Da Windows 8 in poi ha poi deciso di eliminare l’accompagnamento sonoro del boot, ripensandoci con il lancio della versione più recente.
Apple Sports segue il tennis, giusto in tempo per Wimbledon
Apple Sports ha appena aggiunto la copertura in tempo reale del tennis, partendo da Wimbledon. E ha una schermata home tutta nuova. Sembra un semplice aggiornamento, ma dietro c’è un obiettivo molto più ambizioso: diventare l’unica app sportiva di cui abbiamo bisogno. SofaScore, chi?…
Del resto, è già successo con le mappe (addio TomTom), con la musica (ciao iPod), con i podcast. Ora tocca allo sport.
Apple Sports ora copre il tennis live, arriva anche WimbledonApple Sports ora segue il tennis punto per punto nei tornei del Grande Slam e 1000-level. La copertura arriva giusto in tempo per Wimbledon, il torneo più prestigioso dell’anno. Inoltre, la home è stata completamente ridisegnata per vedere le squadre preferite sempre in cima. L’algoritmo imparerà dalle nostre passioni.
Apple non fa mai niente per caso. L’app Sports è nata come una piccola app per i punteggi in tempo reale. Poi è arrivato il football. Ora il tennis. Il prossimo passo? Probabilmente altri sport di nicchia, finché non avranno coperto tutto. È la strategia del piccione viaggiatore: arriva in silenzio, non fa rumore, ma sa sempre dove andare. E una volta atterrato, non se ne va più.
L’app Sports è gratuita, veloce, integrata perfettamente con iOS. Non ha pubblicità invasive, pop-up fastidiosi o video che partono da soli. Fa una cosa sola, ma la fa bene. Apple ha capito una cosa che sfugge ai competitor: la gente vuole solo i punteggi, non le opinioni di 50 commentatori diversi. L’app mostra risultati, statistiche essenziali, classifiche. Basta. Niente analisi inutili, niente talk show interminabili.
Cosa manca (e arriverà presto)Ora l’app copre NFL, NBA, MLB, Premier League, Champions League, Serie A. E quello che manca – Formula 1, golf e sport olimpici – arriverà presto. È solo questione di tempo. Apple ha i soldi e la tecnologia per comprare tutti i dati che vuole.
Funerale in streaming? Attenzione alla nuova truffa svuota conto
Chi potrebbe pensare che dietro la diretta di un funerale in streaming si celi una truffa svuota conto? Eppure è proprio così. Una novità tutta dark che i cybercriminali si sono inventati per rubare dati personali e denaro agli utenti più sensibili che non potrebbero dire di no a partecipare del dolore di alcuni.
Questo tipo di raggiro viene spesso diffuso tramite social network, luogo perfetto per chi è in cerca di post commoventi. A volte si tratta di un messaggio diretto mentre altre volte di un post sponsorizzato con scritto: “Partecipa alla diretta streaming del funerale di […]“. Segue poi l’invito a cliccare sul link per accedere alla diretta.
Spesso questi post risultano visibili perché alcuni amici hanno già messo “Mi piace”. Un particolare in più che potrebbe rendere credibile il messaggio. Una volta raggiunta la pagina, per accedere al funerale in streaming viene chiesto l’inserimento dei propri dati personali e subito dopo quelli della carta di credito.
Funerale in streaming: come evitare questa truffaLa nuova truffa svuota conto del funerale in streaming, sembra strano, ma sta avendo molto “successo”. Sono infatti tanti gli utenti che cadono nella trappola ingegnata da cybercriminali esperti che fanno leva sul dolore e sulla curiosità “dark”. Ma come è possibile evitare di cadere in questa trappola?
Innanzitutto, è importante riconoscere che funerali in streaming sponsorizzati, condivisi da amici o inviati tramite messaggio diretto sui social nascondono sempre qualcosa di losco. Sfruttare il dolore come fosse qualcosa di popolare rende tutto non solo macabro, ma pericoloso. Infatti, dietro tutto questo ci sono criminali spietati pronti al furto di identità e denaro.
Inoltre, è fondamentale non fornire mai i propri dati sensibili e dettagli di pagamento in pagine web sconosciute e di dubbia provenienza. Software Keylogger iniziano a registrare le informazioni inserite dal momento in cui digitiamo, quindi prima ancora di confermarne l’invio.
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Non è certo la prima volta che BreachForums finisce nel mirino delle autorità, ma il colpo appena assestato potrebbe metterne seriamente a rischio il suo futuro, già provato dalla violazione subita ad aprile che l’ha messo offline. La polizia francese ha arrestato cinque gestori, tutti di età compresa tra 20 e 30 anni. L’operazione è stata condotta dall’unità BL2C (Brigade Centrale de Lutte Contre la Cybercriminalité). A riportare per primo la notizia è stato il sito Le Parisien.
Operazione francese contro BreachForumsSono stati effettuati raid coordinati nelle regioni Alture della Senna (Parigi), Senna Marittima (Normandia) e Reunione (isola tropicale francese nell’oceano Indiano). L’azione ha fatto scattare le manette ai polsi di quattro cracker, noti con i nickname ShinyHunters, Hollow, Noct e Depressed. Un altro, IntelBroker, è stato individuato e catturato nel mese di febbraio. Le responsabilità individuali dei sospettati sono da accertare.
Come noto, ad animare BreachForums è una community di cybercriminali che vendono, comprano e pubblicano dati rubati, ma non solo, anche accessi non autorizzati a network aziendali e altri servizi illegali. Considerato l’erede di RaidForums, i suoi domini sono già stati sequestrati più volte, ma abbattuto uno ne è sempre spuntato un altro, come una sorta di mitologica Idra del Dark Web.
È sopravvissuto anche all’arresto di Pompompurin, all’anagrafe Conor Brian Fitzpatrick, proprietario e amministratore fino al marzo 2023. Successivamente, il progetto è stato rivitalizzato proprio dall’intervento dei cinque gestori individuati ora in Francia, fino allo stop dei mesi scorsi.
Nel dettaglio, ShinyHunters e IntelBroker sono stati identificati come i nuovi proprietari e amministratori, mentre a Hollow è stato associato il ruolo di moderatore. Non è ancora chiaro invece quale fossero i compiti di Noct e Depressed. Al quintetto sono attribuiti furti di dati a realtà locali importanti come Boulanger, SFR, France Travail e French Football Federation, ma anche internazionali come nel caso di Europol, General Electric, AMD, HPE, Nokia, Cisco, Salesforce, Ticketmaster, AT&T e Santander.
Questo articolo contiene link di affiliazione: acquisti o ordini effettuati tramite tali link permetteranno al nostro sito di ricevere una commissione nel rispetto del codice etico. Le offerte potrebbero subire variazioni di prezzo dopo la pubblicazione..bmaff_error { display: none !important;}Siamo davvero spiati dalle nostre telecamere smart?
Ogni tanto ci è venuto da chiederci se siano davvero solo sicurezza e controllo o se siamo anche noi spiati dalle nostre telecamere smart. L’indagine condotta dai colleghi de il Giornale ha fatto emergere ciò che nessuno vorrebbe mai sentirsi dire. Tutto nasce dalle ricerche di un hacker etico, Andrea Mavilla, esperto in cybersicurezza.
In pratica, se abbiamo videocamere di sicurezza smart, connesse quindi alla nostra rete WiFi, potremmo essere vittima di alcuni reati. Tra questi “l’accesso abusivo al sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza“. Chiunque potrebbe violare nome utente e password per accedere al nostro sistema di videosorveglianza.
Infatti, cinque informatici sono stati condannati, da 30 mesi a 3 anni, con due accuse. La prima di “associazione per delinquere” e la seconda di “detenzione/diffusione abusiva di codici atti all’accesso a sistemi informatici“. Ciò che è stato scoperto in merito all’essere spiati dalle nostre telecamere smart ha dell’inquietante.
Spiati dalle nostre telecamere smart: accesso disponibile onlineIn questa inchiesta è stato scoperto Shodan, un motore di ricerca che permette di trovare e identificare qualsiasi dispositivo IT e gli indirizzi IP. Queste informazioni permettono di individuare molte delle telecamere smart ed è così che finiamo per essere spiati a nostra insaputa.
Il problema è che chiunque può accedere, tramite nome utente e password, alle immagini riprese in tempo reale dalle videocamere di sicurezza connesse a una rete. La ricerca può essere estesa o circoncisa a una zona. Per chi ci sa fare è abbastanza facile riconoscere l’isolato e poi la casa.
Mavilla ha spiegato: “È necessario che le persone abbiamo maggiore consapevolezza quando acquistano le telecamere“. Uno dei maggiori problemi che portano a essere spiati dalle nostre telecamere smart, come suggerisce l’inchiesta, è la “scarsa protezione informatica di questi dispositivi“.
Oggi è necessario fare di tutto per mantenere al sicuro i propri dati sensibili e le proprie informazioni sensibili, soprattutto se si tratta di immagini e video che potrebbero finire nelle mani sbagliate. Proprio per questo è fondamentale aggiungere una protezione alla propria privacy attraverso sistemi in grado di fornire sicurezza e ottimizzazione alla connessione come password complesse, autenticazione a due fattori e VPN.
Il telefono di Trump ha cancellato la scritta Made in USA, perché?
La scorsa settimana la famiglia Trump ha presentato il T1, uno smartphone da 499 dollari che promette di essere “progettato e costruito negli Stati Uniti“. Gli esperti hanno impiegato un’ora per scoprire che è identico a un telefono cinese da 180 dollari. L’America First diventa China First?…
Trump promette un telefono americano, ma la frase Made in USA è sparita dal sitoDonald Trump Jr. ed Eric Trump hanno presentato il T1 alla Trump Tower in pompa magna. Smartphone dorato, specifiche tecniche discrete, prezzo di 499 dollari. Oh, finalmente un telefono americano per gli americani… C’è solo un problema: è praticamente identico al Revvl 7 Pro 5G, prodotto dalla cinese Wingtech e venduto su Amazon per 180 dollari. Stesse dimensioni, stessa batteria, stessa fotocamera. Anche il jack per le cuffie, ormai rarissimo sui telefoni moderni.
“Orgogliosamente progettato e costruito negli Stati Uniti“, recita il comunicato ufficiale. Eric Trump ha rincarato la dose: “Alla fine, tutti i telefoni potranno essere costruiti negli Stati Uniti d’America“. Todd Weaver, CEO di Purism (l’unica azienda che produce davvero smartphone negli USA), è stato brutale: “A meno che la famiglia Trump non abbia segretamente costruito impianti di produzione per anni senza che nessuno se ne accorgesse, è semplicemente impossibile consegnare quello che promettono“.
E in effetti, i conti che non tornano. Purism produce telefoni negli Stati Uniti. Il loro Liberty Phone costa 1.999 dollari e ne vendono migliaia di pezzi all’anno, non centinaia di migliaia. Trump Mobile promette un telefono a 499 dollari pronto per agosto, ma gli esperti sono unanimi, è impossibile.
Il mistero delle specifiche tecniche del telefono di TrumpIl sito di Trump Mobile elenca specifiche curiose:
- Schermo AMOLED da 6,8 pollici (prodotto principalmente da Samsung in Corea del Sud);
- Processore probabilmente MediaTek (fabbricato a Taiwan);
- Fotocamera da 50 megapixel (sensori dominati dalla giapponese Sony);
- Jack per le cuffie da 3,5mm (praticamente estinto sui telefoni moderni).
Una combinazione che corrisponde perfettamente al telefono cinese Revvl 7 Pro 5G.
Cosa si nasconde dietro il “Made in USA”Nelle note legali del sito, Trump Mobile ammette che: “I prodotti Trump Mobile non sono progettati, sviluppati, prodotti, distribuiti o venduti dalla Trump Organization“. È un accordo di licenza. Qualcun altro produce tutto, i Trump ci mettono solo il nome. “Made in USA” diventa “Marchiato in USA“.
Non è la prima volta. La famiglia Trump ha fatto fortuna prestando il nome ad altri: hotel, bistecche, università, vino. Ora tocca ai telefoni. Oramai, è un modello di business super collaudato. La ricetta è sempre la stessa: trovare un prodotto esistente, aggiungere il marchio Trump, triplicare il prezzo e venderlo come “esclusivo”. Con il T1 è successo esattamente questo.
Perché l’America non può produrre telefoniGli Stati Uniti non hanno la catena di approvvigionamento per produrre smartphone. Mancano gli impianti per processori, le fabbriche di schermi AMOLED; i produttori di sensori fotografici e gli stabilimenti per le batterie. Costruire tutto da zero richiederebbe miliardi di dollari e almeno un decennio.
La verità, è che il “Made in USA” è spesso solo marketing. Trump promette ciò che sa di non poter mantenere. Ma sa anche che molti elettori ci crederanno. E questo, basta e avanza.
Antivirus e VPN per 10 dispositivi: sicurezza e convenienza con Avast
Avast è, sempre di più, un punto di riferimento assoluto per gli utenti che intendono massimizzare la sicurezza durante l’utilizzo della connessione Internet da tutti i propri dispositivi (smartphone, tablet e computer).
Il motivo è semplice: con il bundle Avast Ultimate, infatti, c’è la possibilità di sfruttare una VPN illimitata, con la protezione della crittografia del traffico dati, e, nello stesso tempo, utilizzare un sistema di protezione contro virus, malware e altro software dannoso.
In questo momento, Avast Ultimate è disponibile con il 70% di sconto. La promozione riduce il costo del servizio a 31,50 euro per un anno, scegliendo la versione che garantisce la protezione di un computer Windows.
La versione più interessante, però, è quella per 10 dispositivi, a scelta tra computer Windows, Mac, dispositivi Android e iOS. Il costo è di 38,99 euro per un anno, senza alcun vincolo di rinnovo. In questo modo è possibile ridurre la spesa per antivirus e VPN ad appena 3,25 euro al mese (i prezzi indicati sono IVA inclusa).
Per sfruttare subito la promozione è sufficiente visitare il sito ufficiale di Avast tramite il link qui di sotto.
Perché scegliere Avast Ultimate: antivirus e VPN con il 70% di scontoLa promozione di Avast è l’occasione giusta per massimizzare la sicurezza informatica e accedere in sicurezza da smartphone, tablet e computer. Come sottolineato in apertura, infatti, Avast Ultimate è un bundle di servizi pensato per garantire una protezione a 360 gradi.
A disposizione degli utenti c’è il sistema di protezione contro virus e malware che consente di rilevare e bloccare in tempo reale le minacce informatiche. In aggiunta c’è anche la protezione contro gli attacchi ransomware che, purtroppo, sono sempre più diffusi.
Da segnalare anche il tool per la rilevazione e il blocco di siti web falsi, attacchi di phishing e tentativi di acceso da remoto al PC. Avast Ultimate include anche il sistema per la verifica della sicurezza della rete Wi-Fi.
A completare il bundle c’è la SecureLine VPN che mette a disposizione un servizio VPN senza limiti, con la protezione della crittografia e la possibilità di aggirare blocchi geografici online. In aggiunta è possibile sfruttare i servizi Cleanup Premium, per migliorare le prestazioni del computer, e AntiTrack, per proteggere l’identità online.
Con la promozione in corso, Avast Ultimate è ora disponibile con un prezzo ridotto a:
- 31,50 euro per 1 dispositivo
- 38,99 euro per 10 dispositivi
L’abbonamento ha una durata di 12 mesi e non prevede vincoli di rinnovo. L’offerta è accessibile di seguito.
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Anthropic ha appena giocato il suo ennesimo asso nella manica, introducendo nel chatbot Claude la possibilità di creare, ospitare e condividere app con l’AI. La funzionalità, al momento disponibile sotto forma di beta e anche per gli utenti con account Free, fa leva sulle potenzialità di Artifacts in circolazione dallo scorso anno. Qual è il vantaggio rispetto a quanto avveniva in passato? Eccolo spiegato direttamente dalla startup.
Ora gli sviluppatori possono procedere più velocemente sulle loro app di intelligenza artificiale senza doversi preoccupare della complessità e dei costi di scalabilità per un pubblico in crescita.
Claude crea e condivide app completeIn estrema sintesi, gli artifacts realizzati possono interagire con Claude attraverso un’apposita API, diventando vere e proprie applicazioni di intelligenza artificiale. Quando sono chiamate in causa, supportano caratteristiche avanzate come l’autenticazione tramite account (lo stesso di Claude). Il creatore non deve far fronte ad alcuna spesa aggiuntiva: le eventuali spese per l’impiego dell’API ricadono sull’utente finale.
Anthropic elenca alcuni casi d’uso interessanti, fornendo esempi concreti di cosa è possibile fare grazie a questa nuova evoluzione del chatbot.
- Creare giochi potenziati dall’AI nei quali gli NPC ricordano le conversazioni e si adattano alle scelte di ognuno;
- realizzare strumenti di apprendimento che si adattano alle skill individuali e pongono domande con un linguaggio naturale;
- sviluppare applicazioni per l’analisi dei dati in cui caricare semplicemente un file CSV;
- creare assistenti alla scrittura per qualunque finalità, dalla documentazione tecnica alle sceneggiature;
- gestire flussi di lavoro complessi per orchestrare chiamate multiple a Claude.
Al momento sono presenti alcune limitazioni. Ad esempio, non è ancora possibile interagire con API esterne, non è prevista una funzionalità di storage persistente e le interazioni si limitano a un’API basata sul testo.
Da chatbot a piattaformaIl potenziale della novità va oltre quello di una semplice aggiunta. Così facendo, Anthropic conferisce a Claude le caratteristiche di una piattaforma che non si limita più solo ad affiancare l’utente nelle stesura o nella correzione del codice, ma che si occupa anche di ospitare l’applicazione finale e di gestire le interazioni da parte di chi ne fa uso.
Potenzialmente, questo getta le basi anche per la costruzione di un nuovo modello di business. Il chatbot di Anthropic (che ha appena ottenuto una vittoria importante in tribunale), potrebbe puntare a diventare una sorta di provider a cui affidarsi per l’hosting delle applicazioni, abilitando così una nuova forma di monetizzazione.
Questo articolo contiene link di affiliazione: acquisti o ordini effettuati tramite tali link permetteranno al nostro sito di ricevere una commissione nel rispetto del codice etico. Le offerte potrebbero subire variazioni di prezzo dopo la pubblicazione..bmaff_error { display: none !important;}Le minacce che impersonano ChatGPT sono aumentate del 115%
Gli esperti di sicurezza informatica di Kaspersky hanno registrato un importante aumento delle minacce che impersonano ChatGPT. Si parla di un 115% nei primi quattro mesi del 2025. Un dato impressionante che rivela quanto utenti e PMI siano in pericolo.
“Con l’aumento della popolarità degli strumenti basati sull’intelligenza artificiale, i criminali informatici nascondono sempre più frequentemente le minacce attraverso questi servizi“, hanno spiegato i ricercatori dell’azienda. Ma ciò che spaventa sono proprio i dati.
Nello specifico, le minacce che impersonano ChatGPT, fin’ora rilevate, sono state 117. Un altro servizio di intelligenza artificiale particolarmente apprezzato dai cybercriminali è DeepSeek che ha contato 83 casi dannosi. Perché i criminali del web preferiscono questi LLM?
A questa domanda ha risposto Vasily Kolesnikov, Security Expert di Kaspersky: “È interessante notare come gli attori delle minacce siano selettivi nella scelta degli strumenti di intelligenza artificiale da utilizzare come esca. Ad esempio, non sono stati rilevati file dannosi che imitassero Perplexity. La probabilità che un aggressore utilizzi uno strumento come copertura per malware o altri software malevoli dipende direttamente dalla sua popolarità e dal clamore mediatico che lo circonda. Più uno strumento è discusso e pubblicizzato, maggiore sarà la probabilità che gli utenti si imbattano in versioni false diffuse online“.
Cosa fare per evitare le minacce che impersonano ChatGPTUna delle prime cose da fare per evitare le minacce che impersonano ChatGPT è fare attenzione a dove si recuperano i software online. La fonte dalla quale si scaricano i file fa la differenza tra un contenuto ufficiale e uno che potrebbe contenere malware o altri pericoli.
Altro aspetto fondamentale è quello di non lasciarsi ingolosire da abbonamenti troppo economici. Utenti e PMI devono sempre verificare l’offerta visibile al prezzo ufficiale del servizio. Se lo sconto è troppo elevato dovrebbe già far scattare l’allarme.
Infine, è necessario verificare sempre l’indirizzo dei siti web e la correttezza dei link riportati nelle email perché potrebbero essere pagine phishing camuffate o collegamenti che rimandano a software dannosi o indesiderati.
In altre parole, è necessario che ognuno di noi faccia la sua parte per mantenere al sicuro la propria vita digitale e quella dell’azienda per cui si lavora. Non sempre prezzi estremamente competitivi sono buoni affari, potrebbero aprire le porte a minacce che impersonano ChatGPT.
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Ora l’AI può leggere le chat di WhatsApp e riassumere i messaggi non letti. Meta assicura che tutto rimane privato, ma c’è da fidarsi?
WhatsApp legge i messaggi con l’AI per fare il riassunto che nessuno ha chiestoImmaginiamo di aprire WhatsApp dopo un weekend offline e trovare 200 messaggi non letti nel gruppo famiglia. Ora Meta AI può leggerli tutti e fare un bel riassunto di poche righe. La funzione si chiama “Message Summaries” ed è già attiva negli Stati Uniti. Il resto del mondo dovrà aspettare ancora un po’, ma il meccanismo è chiaro. l’AI passa in rassegna tutte le chat perse e dice l’essenziale. Comodo, è comodo, ma chi si fida di Meta, visti i suoi precedenti?
Meta giura che tutto rimane privato. Usa una tecnologia chiamata “Private Processing” che dovrebbe permettere all’AI di leggere i messaggi senza che Meta stessa li veda mai. “Nessuno in Meta o WhatsApp leggerà mai i tuoi messaggi o i riassunti privati“, promettono nel blog ufficiale. È la stessa azienda che per anni ha detto che WhatsApp era completamente sicuro, prima di ammettere che condivideva dati con Facebook. La fiducia, una volta persa, è difficile da ricostruire.
Fino a oggi, Meta AI poteva rispondere a domande generiche dentro WhatsApp, ma non aveva accesso alle nostre conversazioni. Ora l’AI può leggere tutto: messaggi, foto, documenti. Ufficialmente solo per aiutarci, ma tecnicamente ha accesso completo. Il confine tra “assistenza” e “sorveglianza” non è mai stato così sottile.
La funzione è disabilitata per impostazione predefinita. Ma WhatsApp mostra comunque un’icona per ricordarci che esiste. È psicologia applicata: se si ha l’opzione davanti agli occhi tutti i giorni, prima o poi si attiverà. E una volta attivata, l’AI avrà accesso a tutto quello che scriviamo. Per sempre.
Perché Meta vuole davvero i nostri messaggiMeta non fa niente per caso. I riassunti automatici sono solo l’inizio. L’obiettivo vero? Addestrare l’AI con miliardi di conversazioni reali. Capire come parlano le persone, cosa le interessa, come reagiscono. Dati più preziosi dell’oro per un’azienda pubblicitaria. “Ma è tutto anonimo“, diranno. Il problema è che l’anonimato digitale è spesso un’illusione.
Meta ha già annunciato che arriveranno suggerimenti per scrivere meglio e altre “assistenze AI“. Ogni nuova funzione è un altro modo per l’AI di ficcare il naso nelle nostre chat. Un passo alla volta, senza che ce ne accorgiamo.
Come tutelarsi?Chi attiva la funzione, ma ci ripensa, può andare in Impostazioni > Chat > Private Processing e disabilitare tutto. Ma una volta che l’AI ha letto i messaggi, non può “dimenticarli”. L’unica protezione vera è non attivare mai la funzione. Questa è solo la fase uno. Tra qualche anno, l’AI di WhatsApp potrebbe suggerire cosa rispondere, analizzare l’umore in base ai messaggi, prevedere cosa vogliamo comprare dalle conversazioni, ecc. Tutto “per aiutarci“, ovviamente.
Meta ci sta offrendo un patto: comodità in cambio di privacy. L’AI legge tutto, ma ci semplifica la vita. È un accordo che milioni di persone accetteranno senza pensarci.
Creative Commons vuole fermare il furto di dati AI con CC Signals
Creative Commons ha appena lanciato CC Signals, un progetto per decidere cosa l’intelligenza artificiale può “rubare” e cosa no. Il problema è che le aziende tech stanno divorando Internet per addestrare le loro AI, ma i creatori non vedono un centesimo.
Ogni giorno, milioni di bot scansionano Internet come un’aspirapolvere. Risucchiano testi, immagini, video, codice. Tutto finisce nelle macchine per addestrare ChatGPT, Claude, Gemini e compagnia bella. I proprietari dei contenuti? Rimangono a bocca asciutta. Il risultato è prevedibile. Sempre più siti stanno chiudendo i battenti o mettono paywall per proteggersi. Internet aperto sta morendo sotto i colpi dell’avidità dell’intelligenza artificiale.
Creative Commons dichiara guerra al furto dell’AI con CC SignalsCreative Commons, l’organizzazione che ha inventato le licenze libere, ora vuole fare lo stesso per l’era dell’intelligenza artificiale. Con CC Signals, chi ha dei contenuti online può dire esattamente cosa le AI possono fare con i suoi dati. E non è un caso che arrivi proprio ora.
Le aziende tech cambiano continuamente strategia. X prima ha autorizzato l’uso dei suoi dati per l’AI, poi ha cambiato idea. Reddit cerca di bloccare i bot e i crwaler con il file robots.txt, ma molti li ignorano. Cloudflare sta creando strumenti per far pagare i bot che raccolgono dati.
Ma il problema, è che i robots.txt e i “no crawl” sono suggerimenti, non ordini. Le aziende AI li ignorano quando gli conviene. Così gli sviluppatori open source hanno iniziato a costruire trappole digitali per sprecare le risorse dei bot indisciplinati. Una guerra silenziosa che va avanti da mesi.
Come funziona CC Signals?Anna Tumadóttir, CEO di Creative Commons, dice che CC Signals nasce per proteggere i contenuti condivisi online, anche nell’epoca dell’intelligenza artificiale. In passato, le licenze Creative Commons hanno permesso a milioni di persone di condividere testi, foto e idee con regole precise e trasparenti. Ora l’obiettivo è lo stesso. Creare un sistema in cui i contenuti possano essere usati dalle AI solo a certe condizioni, stabilite da chi quei contenuti li crea. La parola chiave è: reciprocità. se l’AI prende, deve anche restituire.
Ma se Internet continua a chiudersi per proteggersi dall’AI, tutti ci rimettiamo. Meno contenuti aperti significa AI più stupide. AI più stupide significano strumenti peggiori per tutti. E strumenti peggiori significano meno innovazione.
Quando arriverà CC SignalsCC Signals è ancora in fase di progettazione. I primi test sono previsti per novembre 2025. Creative Commons sta raccogliendo feedback pubblico e organizzerà incontri per spiegare il progetto. Poi la palla passerà alle big tech, accetteranno di giocare secondo queste nuove regole?